top of page

Una lettera ad un papà.

  • francescomy
  • 23 mar 2020
  • Tempo di lettura: 2 min

ree

Caro Gennaro,


Non chiedermi perché io abbia deciso di scrivere queste parole questa sera, chiuso nelle quattro mura della mia camera qui a Londra. Giuro che non l’ho programmato, l’istinto mi ha detto di farlo. Forse spinto dal fatto che ti sei fatto sentire dopo mesi di silenzio per poi scomparire di nuovo.

Il titolo dice: “una lettera ad UN papà” e NON “ al mio papà”. C’è bisogno che ti spieghi il motivo? Forse si, non sei mai stato così intelligente. Diciamo solo che è facile procreare, mettere su famiglia e diventare padre. Molto più difficile è esserlo. E tu non lo sei. Lo sei diventato più volte, cinque ad essere precisi per quel che ne so. Non voglio dilungarmi troppo sinceramente, mi è solo venuta voglia di mettere per iscritto ciò che sento, come sempre. E non si tratta di rabbia o tristezza, non più. Forse è stupore, perché non mi capacito di come un “padre” possa fregarsene di quelli che sono suoi figli, come possa ignorare i loro bisogni o addirittura dimenticarli. Non ti ho chiesto io di venire al mondo sia chiaro! Sei una delusione, lo sei sempre stato e continui ad esserlo. Non fai altro che confermare con ogni tua parola, con ogni tua azione l’essere che sei. Quel buco nero capace di assorbire ogni briciola di felicità e di luce. Per anni hai inghiottito la mia, hai fatto si che avessi paura di essere chi sono, mi hai ricattato e hai calpestato quella poca autostima che avevo e che era già stata fatta a pezzi dai bulli della scuola. Tutto ciò che facevi di buono era perché dovevi trarne tu un vantaggio, un profitto. Non lo hai mai fatto per noi figli. Non sei capace di provare amore se non per te stesso. E in un certo senso mi dispiace per te, mi fai un po’ pena. Dopo due anni di sacrifici, di pianti, di guerre contro i tuoi malumori e i tuoi ricatti di non accompagnarmi a lavoro se non ti davo dei soldi, delle tue accuse nei miei confronti di essere la causa per cui non potevi lavorare, sono riuscito a mettere da parte abbastanza da andare via dalla mia città, ma soprattutto da te. Non è stato facile e tuttora non lo è, nessuno ti regala niente, devi lavorare e conquistare ciò che vuoi. E questo l’ho imparato sulla mia pelle, perché non sei mai stato capace di insegnarmi nulla. Anzi tu vivi nel tuo mondo in cui tutti ti devono tutto, dove tu sei la vittima di turno e noi i cattivi che ti hanno abbandonato. Mai che ti fossi chiesto se avessi qualche colpa. L’unica cosa che sai fare è mentire, agli altri e a te stesso. E quando ti accorgi che nessuno ti crede più te la svigni arrabbiandoti. Credi che l’origine della tua sfortuna sia sempre dovuta agli altri ma la realtà è che si raccoglie ciò che si semina. E tu sei un pessimo agricoltore.

Non ti auguro nulla, ne bene ne male, perché è ciò che provo ora nei tuoi confronti. Indifferenza. Anche peggio dell’odio, non credi?


Distinti saluti,

Francesco










 
 
 

Commenti


Featured Review
Tag Cloud
    bottom of page